Hai bisogno di essere sempre all’altezza di standard spesso non realistici? Tendi a valutare molto rigidamente gli errori che commetti? Temo molto il giudizio altrui e immagini che gli altri abbiano aspettative molto elevate nei tuoi confronti? Adotti criteri rigidi anche per valutare il resto del mondo?
Potresti soffrire di “perfezionismo” (Hewitt et al., 1991).
Non c’è niente di male, non sempre il perfezionismo è un problema. Ma a volte lo diventa, e puoi accorgertene da quanto spesso provi soddisfazione, tranquillità, senso di sicurezza anche quando ti trovi in situazioni di cambiamento e incertezza, di prestazioni poco efficaci ed efficienti, di vulnerabilità emotiva.
Se la risposta è “raramente”, allora forse è il caso di occuparsene.
Perfezionismo e infelicità
“Come si fa a diventare giorno dopo giorno avversari di noi stessi? …Si tratta in fondo della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio. Si pervenga una volta a questa convinzione e ben presto si dovrà concludere che il mondo sta andando in rovina. Ed è qui che si distinguono gli esperti dai dilettanti. Questi ultimi finiscono a volte per alzare le spalle e a volte per arrangiarsi. Chi invece rimane fedele a se stesso e ai propri principi non è disposto a nessun facile compromesso; posto di fronte alla scelta tra l’essere e il dover essere, di cui già parlano le Upanishad, egli si decide incondizionatamente per il mondo come deve essere e rifiuta il mondo quale esso è.”
Paul Watzlawick “Istruzioni per rendersi infelici” (2013)
Una delle ancora sottovalutate abilità dell’essere umano riguarda il riuscire a rendersi infelici da soli. Molte sono le strategie utilizzate allo scopo, tra cui quelle esposte dall’autore della citazione. In questo articolo affrontiamo ne approfondiamo una che riguarda proprio il rimanere attaccati in modo estremamente rigido alle proprie idee. Prima fra tutte, l’idea che bisogna essere perfetti.
Alla ricerca della perfezione, preoccupati nel sentirci incerti, nel non riuscire subito benissimo in una prestazione, nel trovare difetti in chi ci sta vicino, tentiamo di farcela ad ogni costo, di resistere, trattenere, insistiamo, pretendiamo e così facendo otteniamo l’effetto paradossale di rimanere travolti.
Rimaniamo in relazioni altamente tossiche perché dobbiamo cambiare il partner che dovrebbe essere come diciamo noi. Viceversa, non stabiliamo mai rapporti duraturi perché nessuno è all’altezza dei nostri standard e arriviamo ad isolarci dalle relazioni per evitare i rischi di soffrire.
Tolleriamo situazioni lavorative difficili convinti che dipenda tutto da noi, che non andiamo mai abbastanza bene, o ci troviamo in difficoltà perché critichiamo fortemente colleghi e superiori.
Qualcosa non va come noi pensiamo debba andare e subito ci sentiamo scossi, destabilizzati. Opponiamo una resistenza attiva alla consapevolezza di quel che c’è, ci sforziamo di fare di più, di contrastare l’andamento che diverge dalle nostre aspettative.
Vogliamo risultati immediati che ci confortino e trascuriamo la naturale evoluzione delle cose, il ruolo fondamentale del tempo e l’influenza del caso. Pretendiamo l’equilibrio totale o la continuità della crescita positiva o almeno la linea continua dell’abitudine, cerchiamo solidità dove non può esserci che flessibilità e adattamento.
Regole da perfezionisti stressati
In che modo contribuiamo attivamente al nostro malessere? Ecco alcune regole per stressarsi da soli in modo efficace.
- Coltivare accuratamente alte aspettative su di sé senza considerare la realtà. non c’è niente di meglio di standard elevati con cui valutare sé stessi per rimanere delusi e starci male. Il mio pretendere da me stessa l’equilibrio perfetto nello yoga di cui parlavo all’inizio dell’articolo ne è un esempio molto concreto: ho trascurato di considerare non solo il normale funzionamento della asana che prevede molta flessibilità del corpo, ma anche le mie condizioni fisiche generali (ad esempio la tonicità muscolare) e specifiche (i miei piedi con qualche difetto geneticamente determinato). E mi sono arrabbiata perché non stavo riuscendo.
Applicazione alle relazioni: devi fare così, devi dirmi questo, devi trattarmi in questo modo…. gli standard elevati devono essere mantenuti ad ogni costo, per poterci con l’idea che il mondo e gli altri non vanno bene per noi, che non ci capiscono, non sono alla nostra altezza. E non possiamo allora fare altro che allontanarci oppure trattarli male. Perché se lo meritano, no?
- Pretendere tutto e subito da noi stessi. È un corollario alla prima regola che consente di mettersi fortemente sotto stress negando le naturali difficoltà che derivano dall’inesperienza o dalla complessità di una situazione. Per stressarsi, l’importante è non accontentarsi mai dei risultati raggiunti, nonché dimenticare che per diventare competenti in qualcosa ci vuole tempo e molto esercizio. Occorre invece credere fortemente che basta volere qualcosa per ottenerla facilmente.
Applicazione alle relazioni: Pretendere tutto e subito dagli altri. Consente di mettere gli altri fortemente sotto stress. Tralasciando di considerare che le relazioni hanno bisogno di tempo per crescere, che la fiducia si sviluppa nella continuità e nella reciprocità dei gesti, per stressare una relazione è molto meglio evitare di esprimere in modo chiaro e diretto le nostre esigenze, come anche di ascoltare ciò che l’altro desidera. L’altro deve capirci al volo e senza possibilità di errore, deve adattarsi ai nostri desideri, deve rispettare le nostre regole, altrimenti vuol dire che la relazione è priva di valore!
- Sforzarsi sempre e a ogni costo. L’impegno indefesso, il lavoro instancabile, la motivazione incrollabile, il darsi da fare comunque, senza considerare il ruolo dell’ambiente nell’orientare quel che capita, il negare le naturali e fisiologiche esigenze del corpo fino a non sentire nulla…se non dopo il crollo finale. Queste le indicazioni per stressarsi da soli, anche quando gli altri ci invitano a fermarci e a riposare.
Applicazione alle relazioni: Questa rimane praticamente uguale perché riguarda il nostro sforzo continuo per prenderci cura di tutto, tutti, sempre. Riguarda l’iper-responsabilizzarsi, il tenere sotto controllo tutto, l’accontentare l’altro contando che questo lo faccia sentire riconoscente nei nostri confronti.
Il vantaggio di queste regole, con qualche sfumatura, è che possono servire non solo a rovinare la nostra vita personale, ma anche le relazioni interpersonali!
Tipi di perfezionismo
Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il perfezionismo si ritrova come caratteristica principale del Disturbo Ossessivo Compulsivo. In realtà, esso risulta frequentemente associato anche ad altre tipologie di disturbo, come quelle ansiose, depressive e ai disturbi del comportamento alimentare.
Ma essere perfezionisti non vuol dire soffrire di una patologia!
Distinguiamo livelli diversi di perfezionismo. Esiste un perfezionismo sano, inteso come una tendenza a crescere, a migliorare, a fare bene, che si accompagna ad una capacità di accogliere la propria fallibilità, a riconoscere i propri limiti senza troppi drammi. Il perfezionismo clinico perde questa flessibilità e si manifesta con standard di comportamento irrealistici, una svalutazione dei risultati raggiunti e un senso di fallimento in caso di errore, una sfiducia nelle proprie capacità e un grande timore del giudizio altrui.
Perché siamo perfezionisti?
Secondo Taibi Kahler, analista transazionale, il perfezionismo è una delle sequenze comportamentali (spinte) che si imparano fin da piccoli per ottenere l’approvazione e la protezione delle figure genitoriali. Le spinte sono un insieme specifico di comportamenti, emozioni e convinzioni di copione che ci hanno aiutato a rispondere positivamente ai nostri genitori, a sopravvivere, diventando modi stabili di interagire con il mondo, ma anche di provare emozioni.
Segnali della spinta Sii perfetto
Potrebbe essere interessante verificare se ti riconosci nella descrizione o se riconosci qualcuno: ecco alcuni indizi verbali, paraverbali e non verbali per individuare una spinta SII PERFETTO.
Quando la persona parla, tende ad usare le parentesi, ad aggiungere qualificatori come probabilmente, si potrebbe dire, come abbiamo visto… Tende ad usare elenchi, numeri e lettere.
Il tono di voce è modulato, gradevole, la posizione corporea eretta, bilanciata, usa le mani per rinforzare quel che sta dicendo.
Questi segnali potrebbero indicare che la persona ha tra i suoi messaggi di copione il SII PERFETTO. Cosa vuol dire questo?
Copione e storia personale
Nella storia di ciascuno di noi ci sono messaggi genitoriali trasmessi dalle figure di accudimento nei primi anni di vita. Questi messaggi ci sono stati trasmessi in forma non verbale e verbale.
- Messaggi di “Ingiunzione”: i bambini hanno “una percezione acuta delle espressioni, delle tensioni corporee e dei movimenti, dei toni di voce e degli odori” (Stewart e Joines, 1987, p. 167). Il modo in cui l’adulto tratta il bambino nel tempo comunica dei messaggi di accettazione o rifiuto, di gradimento o fastidio, che il piccolo accoglie ed elabora in base alle sue capacità cognitive e al suo intuito, capendo cosa NON deve essere e fare. Esempi sono “Non essere importante”, “Non essere piccolo”, “Non crescere”.
- Messaggi di “controingiunzione”. Altrettanto sono importanti comandi verbali su cosa il bambino dovrebbe essere e fare. Sono indicazioni che offrono una via d’uscita al bambino: se “sei il primo della classe” o “non sei scemo”, allora vai bene. Costruiscono strade per un essere OK condizionato e consentono di attutire ed evitare il dolore che si prova quando si entra in contatto con i messaggi ingiuntivi. Le spinte principali che Kahler ha individuato sono:
- Sii perfetto
- Sii forte
- Sforzati
- Cerca di piacere
- Sbrigati
Questi messaggi “spinta” vengono spesso usati in modo positivo, per occuparci di noi e rispondere adeguatamente al contesto sociale. Ad esempio, osso usare il mio “Sii perfetto” per impegnarmi a scuola e ottenere un’ottima prestazione, ma posso anche usarlo come parte del mio copione negativo ed esagerare con il mio perfezionismo tanto da ritardare una consegna importante perché non sono mai soddisfatta del progetto che ho scritto e continuo a modificarlo.
I messaggi di copione e controcopione sono una parte del cosiddetto “Copione”, un piano di vita specifico redatto dal bambino sotto forma di azione drammatica, con un suo netto inizio, punto di mezzo, fine. Il copione è al di fuori della consapevolezza, è un programma in corso, sviluppato dalla prima infanzia sotto l’influenza genitoriale, che dirige il comportamento dell’individuo negli aspetti più importanti della sua vita” (Berne 1972, p. 124).
Come superare il perfezionismo patologico
Avrai intuito che molte situazioni di stress personale e relazionale hanno a che fare con le nostre idee e i nostri modi di fare. A volte pretendiamo qualcosa da noi stessi e il resto del mondo che é semplicemente privo di logica. Eppure, persistiamo.
Non è facile accorgercene da soli ma quando capita può anche essere doloroso: quando ci accorgiamo del nostro pezzetto di responsabilità nel malessere, ci giudichiamo male, ci critichiamo, sentendoci ancora peggio.
Un interessante articolo del 2018 di Oliver Burkeman su “Internazionale” descrive come a livello sociale ci sia finalmente meno riconoscimento positivo per un atteggiamento che procura spesso molta sofferenza ma che il senso comune collega al successo professionale.
Propongo di seguito alcune affermazioni su cui riflettere per coltivare un sano realismo.
Sei abbastanza brava/o così come sei
Tu vai bene così. Tu sei ok.
Questa frase è l’antidoto alla spinta, suggerita dalla Kahler per annullare gli effetti velenosi del Sii perfetto. Se siamo stati fortunati, abbiamo ricevuto l’antidoto dai nostri genitori, ma se così non fosse, nulla dovrebbe esserci d’ostacolo ad usare questa frase in autonomia.
Ogni volta che ci accorgiamo di stare adottando una modalità eccessivamente perfezionista, possiamo consapevolmente dirci questa frase che dovrebbe sortire un effetto tranquillizzante. Se invece ti accorgi che cresce il disagio, allora sospendi l’uso della frase antidoto. Potrebbe essere che la spinta nasconda una decisione di copione importante su cui occorre lavorare con un analista transazionale per un suo depotenziamento.
L’unico equilibrio possibile è dinamico
Secondo il dizionario Treccani vuol dire innanzitutto “lo stato di quiete di un corpo”. Questo stato può essere statico o dinamico, stabile o instabile. “Più in generale, condizione per la quale un corpo (anche il corpo umano) sta fermo per un compensarsi delle azioni che su di esso si esercitano, o, anche muovendosi, conserva un suo determinato assetto [1].
Allora, comincia a cercare modi per coltivare un movimento dinamico tra una forma di equilibrio e la successiva, che consenta di mantenere ed accrescere l’assetto generale di salute fisica, mentale, emotiva.
Sappi che più che il controllo completo di emozioni, pensieri e comportamenti, con le annesse strategie di evitamento e di conflitto interno, può essere utile partire da riconoscere e accettare quel che c’è, inclusa l’insoddisfazione, la frustrazione, la delusione che spesso colorano l’esperienza di un perfezionista.
Se riesci molto bene in un settore della tua vita, probabilmente stai trascurando altro
Se ti impegni moltissimo per un risultato specifico, sicuramente puoi farcela ad arrivare al massimo risultato. Ad esempio, se stai lavorando a ritmi forsennati per avere una promozione in ufficio, molto probabilmente la otterrai. Ma nel frattempo avrai necessariamente ignorato gli amici, magari hai smesso di andare in palestra perché non ne hai avuto il tempo. Insomma, al lavoro tutto perfetto, ma i settori “relazioni sociali” e “salute” forse andranno meno bene.
Occorre accettare la propria limitatezza e avere consapevolezza di quello che conta per noi, in modo da non creare situazioni di eccessivo squilibrio tra i settori della vita.
La perfezione non esiste, l’approssimazione progressiva sì
Come dice spesso la mia insegnante di yoga, “l’equilibrio non esiste”. “Ma come non esiste?” mi dicevo io, mentre tentavo disperatamente di rimanere su un solo piede con l’altro appoggiato alla parte interna del ginocchio, le braccia poco elegantemente verso l’altro e un dolore crescente al piede che si sforzava di tenere su tutto!
Desidero stare fermamente in piedi su una sola gamba, con una postura raffinata e stabile, braccia eleganti e atteggiamento meditativo. So come dovrebbe essere, se fossi davvero brava. E invece che capita? Un continuo dondolare, il piede non regge, resisto e soffro fino a perdere del tutto l’equilibrio ricadendo molto poco elegantemente sull’altro piede. Sento un dolore alla caviglia che ha tentato disperatamente di tenere su tutto, arricchisco le sensazioni con frasi poco carine sulla qualità della mia prestazione.
Sarà che mi stresso da sola? Pretendo di sapere cosa mi serve, cosa devo fare, come devo farlo, naturalmente subito e perfettamente! Ma forse non è reale la mia pretesa, forse serve di ricordare che invece della rigidità mi serve la flessibilità. E non parlo solo del fisico!
La mia insegnante un giorno ha detto una frase magica: “siamo spiraleggianti e dinamici, mai statici”. Per me è stato illuminante. Ha cambiato improvvisamente il mio modo di vedere la situazione e i miei standard al riguardo. Non dovevo essere perfettamente in equilibrio, ferma, elegante, dritta, ma semplicemente me stessa al meglio possibile in quel momento, pur nell’impegno di rispettare la richiesta. Poi è vero che la pratica costante aiuta a migliorare…ma una cattiva giornata capita a chiunque!
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Bibliografia e fonti di ispirazione
Berne E. (1972). What do you say after you say hello, New York: Grove Press (tr.it. “Ciao!”… e poi?, Milano: Bompiani, 1979)
American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr.it.
Hewitt, P. L., Flett, G. L., Turnbull-Donovan, W. e Mikail, S. F. (1991). The Multidimensional Perfectionism Scale: Reliability, validity, and psychometric properties in psychiatric samples. Psychological Assessment: A Journal of Consulting and Clinical Psychology, 3, 464-468.
Stewart, I., Joines, V. (1987). TA: A New Introduction to Transactional Analysis. Nottingham: Lifespace Publishing (Tr. it. L’analisi transazionale. Milano: Garzanti, 1990).
Watzlawick, P. “Istruzioni per rendersi infelici” (2013)
[1] Ultima consultazione del 29 novembre 2021.