Pur non essendoci una definizione univoca dello stress, generalmente se ne parla in termini di:
- tensione fisica, mentale o emotiva sgradevole
- fatica di fronte ad un compito difficile
- reazione personale spiacevole rispetto a comportamenti altrui
- sentirsi sopraffatti ed esauriti sul lavoro o in altre aree della vita
Implicita in queste descrizioni è la reazione spiacevole della persona, come se stressarsi volesse dire necessariamente stare male e avere un problema.
Invece questo è un vero pregiudizio!
Gli effetti dello stress sono noti già dai tempi di Aristotele, ma lo studio dei meccanismi fisiologici, chimici, neuroendocrini di questo complesso fenomeno è iniziato alla fine dell’Ottocento, con le analisi di Bernard (1859) sui meccanismi di funzionamento cellulare. Nei primi decenni del 1900, poi, Cannon sviluppò il concetto di omeostasi per indicare la tendenza dell’organismo a mantenere stabili le sue funzioni di fronte a perturbazioni. Sarà però Hans Selye ad individuare la cosiddetta SGA, Sindrome Generale di Adattamento, una risposta dell’organismo in caso di stress prolungato (Fink 2009).
A che serve lo stress?
Secondo Selye (1976), di per sé lo stress è semplicemente
“la risposta non specifica dell’organismo a ogni richiesta fatta su di esso”.
Vuol dire che esso assume una fondamentale funzione evolutiva che favorisce la nostra adattabilità: ci aiuta a sopravvivere! Senza stress non potremmo rispondere al contesto e soccomberemmo.
Se i nostri progenitori non fossero stati veloci a rispondere alle sfide di un ambiente estremo, fuggendo dalle bestie feroci e trovando il modo di tenere acceso il fuoco, noi probabilmente non saremmo qua oggi. La paura, il freddo, la fame sono stati stimoli stressanti piuttosto forti a cui gli uomini primitivi sono riusciti a rispondere adeguatamente…almeno quelli da cui noi discendiamo.
Se il nostro organismo non si attivasse velocemente di fronte ad un cambiamento esterno, rischieremmo di trovarci nei guai!
Ma allora, dove sta il problema?
Occorre fare una distinzione fondamentale tra il tipo di risposta. Parliamo cioè di stress positivo e negativo. Vediamoli bene:
- stress positivo o eustress: quantità di stress ottimale che sostiene al meglio le nostre capacità fisiche, mentali ed emotive consentendoci di ottenere risultati positivi. È quell’energia che sentiamo quando affrontiamo un compito difficile, sfidante, ma raggiungibile. È la reazione di fronte agli esami, ai colloqui di lavoro, alle uscite galanti. Quando c’è eustress, tutto funziona al meglio!
- Stress negativo o distress: stress incontrollato, prolungato, eccessivo rispetto alle risorse disponibili, con effetti distruttivi. È una quantità di stress non appropriata rispetto alla situazione. L’effetto di questo tipo di stress è un insieme di segnali fisiologici, cognitivi, emotivi e comportamentali che possono diventare cronici, come la stanchezza, la scarsa motivazione, disturbi di salute, nervosismo.
Come funziona la nostra risposta allo stress?
Secondo Selye, l’organismo, si attiva di fronte ad uno stimolo esterno in tre fasi:
- ALLARME: L’organismo mobilita le sue difese (iperattivazione ipofisi-corticosurrene) e reagisce con la modalità “attacco o fuga” già individuata da Cannon. Risponde quindi allo stimolo allontanandosi da esso o avvicinandosi per risolvere la questione. Se la situazione stressante si risolve, l’organismo ritrova il suo equilibrio e lo stress sparisce.
- RESISTENZA: non sempre però la situazione stressante, cioè lo stressor, svanisce velocemente. Piuttosto, persiste nel tempo. L’organismo allora continua a mobilitare risorse per affrontare il compito.
- ESAURIMENTO: se lo stressor persiste e la situazione non si risolve in via definitiva, allora le risorse disponibili finiscono e l’organismo rischia di avere danni, crescenti nel tempo, fino a diventare irreversibili.
Tenere presente questo modello in tre fasi può aiutarci a fare attenzione ad analizzare le situazioni in cui ci troviamo per comprendere meglio i motivi di alcune nostre reazioni.
Come capire se siamo troppo stressati?
Si dice che troppo stress uccide, ma quando è che lo stress diventa davvero troppo? Come capire che abbiamo superato la soglia di rischio rispetto alle nostre capacità di recupero?
Per farlo, occorre fare attenzione
- A noi, al nostro stato di salute fisica, mentale ed emotiva
- Alle situazioni esterne in cui ci troviamo
1. Come sto?
Circa il primo punto, occorre allora rendersi conto che disturbi di salute, acciacchi, momenti più o meno lunghi di cattivo umore, difficoltà nel lavoro, dermatiti, cefalee, ansia, possono essere segnali di un disagio legato allo stress.
Come specifica il prof. Piero Barbanti, Direttore dell’Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore, IRCCS San Raffaele, Roma in un’intervista sul sito Insalutenews:
“Quando siamo di fronte a un pericolo, reale o immaginato che sia, il sistema delle emozioni (il sistema limbico) sollecita l’ipotalamo, trasmettendogli l’ordine di partire all’attacco, e questo sveglia l’ipofisi; l’ipofisi, a sua volta, fa intervenire il surrene e si libera una grande quantità di cortisolo, non a caso conosciuto come ormone dello stress.
A lungo andare, un’elevata quantità di cortisolo indebolisce il sistema immunitario, compromettendo le nostre capacità di difesa, e causa fenomeni infiammatori e ossidativi, a cominciare dal cervello, con manifestazioni come insonnia, peggioramento dell’ansia, mal di testa.
Qualunque organo e qualunque apparato può essere colpito perché il sistema neurovegetativo, quello che trasporta a livello periferico i messaggi dell’emotività, ha propaggini che arrivano ovunque.
I principali bersagli dello stress sono il cuore e l’apparato cardiovascolare, con sintomi come tachicardia e aumento della pressione; l’apparato respiratorio, con la tipica fame d’aria e l’apparato digerente. In quest’ultimo caso il campionario dei sintomi è vastissimo: dalla difficoltà a inghiottire, caratteristica dei soggetti nervosi, agli spasmi dell’esofago che a volte si confondono con situazioni di dolore cardiaco, e poi gastrite, digestione laboriosa, ulcere, reflusso gastroesofageo e, scendendo in basso, le colonpatie funzionali, cioè il cosiddetto colon irritabile. Altri bersagli possono essere l’apparato urogenitale (con minzione frequente o disturbi della sfera sessuale sia maschile sia femminile) e quello muscolare, con senso di contrazione, rigidità, ma anche faticabilità. Infine, la cute: i dermatologi ben conoscono tutte le complicanze a livello cutaneo dello stress, dagli eczemi all’alopecia areata.”
2. In che situazione mi trovo?
Circa le situazioni esterne, Selye evidenzia che i problemi con lo stress nascono quando gli stressor persistono nel tempo, perché chiedono all’organismo di continuare a consumare risorse che non sono infinite.
Ma è riduttivo pensare che tutto dipenda solo dalla durata nel tempo dello stressor. Tra l’altro, se non è in nostro potere andare a modificare questo aspetto, allora siamo veramente nei guai! Come faccio se ho un capo dispotico che mi tratta male? Come faccio se devo prendermi cura dei miei genitori anziani?
Per capire a cosa fare davvero attenzione, aggiungo una componente fondamentale dello stress finora non nominata, quella psicologica. Stressarsi non è una questione strettamente fisica.
“la reazione che le persone possono avere quando si trovano di fronte a richieste e pressioni che non sono allineate con le loro conoscenze e abilità e che possono sfidare la loro abilità di risposta”
Il ruolo della valutazione individuale nello stress
Cosa vuol dire “richieste non allineate”? Negli anni ’80 Lazarus e Folkman hanno proposto una visione dello stress, in cui la persona non subisce passivamente e in modo reattivo l’effetto degli stressors, degli stimoli esterni, stressandosi in maniera più o meno forte. Piuttosto, è attiva nell’influenzare l’impatto degli eventi. Tale impatto dipende dalla sua valutazione della situazione e delle proprie risorse.
Quando la valutazione implica uno squilibrio percepito tra la situazione e le proprie risorse, allora lo stress cresce. Il non allineamento ha quindi a che fare con il grado di distanza percepita tra le nostre conoscenze, abilità, competenze, relazioni, e il compito. Maggiore è, più lo stress sarà intenso arrivando a diventare distress, quindi stress negativo.
Diventa allora fondamentale la valutazione individuale della situazione e delle nostre risorse nel meccanismo, altrimenti estremamente reattivo, dello stress. Questa valutazione influenzerà le strategie, emotive, cognitive, comportamentali che metteremo in campo per affrontare la situazione.
Potremo scegliere tra
- strategie funzionali di gestione dello stress, che andranno a modificare il contesto o le risorse disponibili, con una logica di problem solving, e questo ci aiuterà a mantenere lo stress ad un livello gestibile
- strategie disfunzionali di gestione dello stress, che cercheranno di risolvere la situazione con strumenti meno efficaci, come il ricorso ad alcool, tranquillanti, ma anche il coltivare emozioni negative come il risentimento e la rabbia, o adottare comportamenti di evitamento o di attacco che nel tempo porteranno ad un peggioramento della situazione.
Queste strategie sono fortemente influenzate dalle nostre esperienze pregresse. Se siamo stati fortunati, abbiamo nel tempo appreso ad usare quelle giuste. Se la vita non ci ha messo di fronte modelli utili, allora è possibile che ci troviamo incastrati in modalità poco funzionali.
Tre suggerimenti per stressarsi di meno
- Non cercare di liberarti dello stress perché non è possibile.
Come dice Johnson “una certa quantità di stress è necessaria per affrontare le sfide della vita e fornire l’energia richiesta a mantenerci in vita, a resistere alle aggressioni, e adattarci ad influenze esterne mutevoli.” (2014, p. 288)
Paradossalmente evitare di trovarsi in situazioni sfidanti, scegliere sempre la strada più semplice, cioè cercare di ridurre gli stimoli, mantenendo un livello di stress basso, porta l’organismo ad uno spegnimento graduale, ad un deterioramento cognitivo e anche fisico.
Altrettanto vale per una quantità di stimoli ECCESSIVA per
- quantità
- persistenza
- intensità.
Una quantità di stimoli eccessiva velocizza il passaggio tra le 3 fasi descritte da Selye rischiando di portarti ad un esaurimento fisico e mentale. Allora, analizza la situazione in cui ti trovi e cerca modi per riportare e mantenere lo stress ad un livello ottimale.
2. Non dare per scontato che tutto funzioni al meglio.
Ricordati che l’ambiente in cui viviamo non ha le stesse caratteristiche, tutto sommato semplici, di quello dei nostri lontani progenitori. La complessità, i ritmi, le difficoltà, le incertezze che affrontiamo quotidianamente mettono fortemente alla prova un meccanismo che per funzionare bene deve alternare periodi di maggiore tensione ad altri di recupero funzionale delle energie. Il meccanismo dello stress non si è evoluto così tanto da rendere sempre funzionali le nostre abilità di adattarci in modo sano all’ambiente.
3. Regolare lo stress in modo che rimanga a livelli ottimali non è una capacità innata dell’organismo.
Ci sono strategie più o meno efficaci che dipendono dalle nostre caratteristiche. Eppoi ci sono tecniche che funzionano per tutti. Quante ne conosci?
Un esempio semplice è la tecnica dell’attenzione consapevole riportata nel mio articolo “PNL, attenzione consapevole e crescita personale”. Provala!
Se vuoi un supporto, prova il percorso Stress Produttivo.
Bibliografia e sitografia
- Fink, G. (2009). Stress: definition and history. In Stress Science: Neuroendocrinology. Academic Press
- Johnson, D. W. (2014). Reaching out. Interpersonal effectiveness and self-actualization. Eleventh edition. Pearson.
- https://cordis.europa.eu/article/id/33381-scientists-piece-together-stress-puzzle/it